Enzo Vizzari, classe 1946, giornalista ma soprattutto Direttore delle Guide de l’Espresso da 35 anni è senza ombra di dubbio uno dei più autorevoli esperti di cucina italiana. Lo abbiamo intervistato per fare il punto su ciò che sta succedendo in Italia.
Quando inizia a scrivere di cibo e ristoranti?
Sin da ragazzino, essendo vissuto in una famiglia dove la buona cucina era un valore condiviso, nella mia educazione un ruolo importante era la cucina, ed erano i miei stessi genitori che dedicavano qualche momento, prima di mangiare, a capire i prodotti ed i piatti presenti sulla nostra tavola. Appena ho avuto la possibilità di mio di viaggiare, ho investito i miei risparmi in ristoranti prima, e poi dopo i 25 anni mi sono avvicinato al mondo vinicolo. Dopo la laurea, ho lavorato come addetto stampa e poi capo ufficio stampa alla Pirelli, Direttore delle Relazione Esterne alla Confindustria di Brescia e Direttore Generale alla Associazione Industriale a Biella. Ho sempre avuto sempre avuto due vite, una vita professionale ed una vita di passione, ho sempre scritto per il Corriere della Sera, Grand Gourmet ed ho iniziato a collaborare con la Guida dell’Espresso nel 1983, ma solo nel 2000 ho avuto la fortuna di trasformare una mia passione in un mestiere a tempo pieno.
Come sceglie i suoi collaboratori e quali prerogative devono avere?
Sicuramente una peso notevole sono le mie conoscenze dirette, dopodiche andando a pranzo o a cena insieme, si valuta quanto effettivamente siano competenti in materia culinaria e come e se sono presentabili dal punto di vista della scrittura. Ci sono diversi giornalisti ma anche anche tanti grandi appassionati ai quali chiedo competenza da un lato ma anche capacità critica. Quando sono in giro per l’italia vado sempre a cena con i miei collaboratori locali per capire, se esiste una sintonia di approccio e se si condividono i giudizi di valutazione.
Nell’edizione 2017 i voti sono stati eliminati, al posto loro, i cappelli. Non più da zero a tre, bensì da zero a cinque, come mai questa scelta?
Obiettivamente, con una guida con respiro nazionale, dove si visitano circa 6.000 ristoranti, inserendo più di 2.000 schede di valutazione compilate da circa 90 collaboratori, è difficile mettere in sintonia tutti i collaboratori su una valutazione così puntuale, quindi abbiamo accorpato i giudizi per togliere un po’ di arbitrarietà legata al gusto personale, accorpando le categorie credo che abbiamo eliminato una certa aleatorietà della valutazione.
Ha affermato che trova odioso vedere tavoli di serie A e di sere B nel servizio, è per questo che prenota sotto falso nome?
Questa è una regola che io ho da parecchi anni e che anche i miei collaboratori utilizzano, la cosa importante è non essere aspettati ed ove fosse possibile non essere riconosciuti. Mi rendo conto che per quanto mi riguarda, facendo questo mestiere da parecchi anni, è difficile, quindi il fatto che non mi aspettino è un trucco che funziona. Io quando sono ad un ristorante sono più attento a quello che succede agli altri tavoli che a me, perchè so che a me o agli altri colleghi riconosciuti c’è sempre un occhio di riguardo, quindi osservare gli altri mi dà una visione completa del ristorante.
Ha detto che il suo piatto della memoria sono gli agnolotti, che ricordi evoca e come deve essere preparato?
Gli agnolotti ricordano l’infanzia li preparavano sia mia nonna che mia madre, quindi effettivamente sono il mio piatto della memoria. Però se dovessi andare su un’isola deserta e dovessi portare con me tre piatti sceglierei: tajarin al tartufo, meglio se pochi tajarin e tanto tartufo; la parmiggiana di melanzana, che mangerei a qualsiasi ora del giorno ed infine il foie gras.
Come è cambiata, sotto i tuoi occhi, l’Italia gastronomica?
In Italia non si è mai potuto mangiar bene come si può mangiare adesso. A tutti i livelli dalle pizzerie alle trattorie, dai ristoranti stellati a quelli etnici, c’è stata una grande evoluzione nella qualità, ciascuno fa meglio il proprio mestiere, anche perché c’è una grande sollecitazione in tal senso, il mercato si è molto ampliato, le curiosità sono aumentate, c’è più gente che indotta dalla televisione e dalla spettacolizzazione è indotta ad andare più di frequente al ristorante. Anche se poi non tutti hanno la possibilità di confrontare quello che succedo oggi rispetto al passato, però chi ha tale possibilità di fare tale raffronto non può non accorgersi di quanto sia cresciuta nel complesso la ristorazione italiana.
La sua opinione sui cuochi in TV?
Da un lato bisogna dire che ce ne un po’ troppo, dall’altro devo dire che una delle ragioni che contribuiscono ad una certa crescita/miglioramento dell’offerta gastronomica è da attribuire allo stimolo che arriva ai clienti proprio dalla presenza dei cuochi in tv, quindi tutto sommato alla ristorazione, soprattutto di alto livello, non fa male. Se però la loro presenza fosse un po’ più diluita, cioè evitando che nel fare zapping di trovare un cuoco in ogni canale ed ad ogni ora, forse sarebbe meglio, ma il contributo al miglioramento nel mondo della gastronomia è indubbio.
L’imprenditoria nella ristorazione: qual è lo stato dell’arte?
La cucina non può crescere se non cresce anche l’imprenditore che sta dietro la cucina che a volte può coincidere con il cuoco ed in altri casi no. Non poteva esserci una crescita della cucina se non fosse cresciuta, e sta ancora crescendo, la figura del ristoratore.
Parliamo di giovani cuochi, chi merita attenzione a suo parere?
Quest’anno come giovane dell’anno abbiamo premiato Fabrizio Mellino dei Quattro Passi di Nerano, ma basta vedere quelli premiati negli ultimi anni, tipo Floriano Pellegrino ed Isabella Potì di Bros oppure Giuseppe Iannotti di Kresios. Rispetto al passato i giovani cuochi si affinano andando in giro per il mondo, crescono conoscendo nuove tecniche, nuove materie prime da sperimentare e quindi da inserire nei loro menù una volta tornati in Italia. Per esperienza posso dire che un cuoco incomincia ad esprimersi nella sua maturità mai prima dei sui 35 anni, quindi i nomi sarebbero molti di più.
Come si spiega il boom dello street food in Italia?
Lo street food in italia c’è sempre stato, solo che prima ciascuno mangiava esclusivamente quello della propria regione. I siciliani hanno sempre mangiato il pane ca meusa e gli sfincioni, però a Milano nessuno sapeva che cosa era. Ora la situazione è diversa, ora in ogni città hai la possibilità di mangiare lo streetfood di altre regioni. Questo ha fatto cambiare la percezione e la sua diffusione.
Che rapporto ha con il cibo da strada?
Per il mestiere che faccio devo essere assolutamente “laico”, io assaggio tutto, il che non vuol dire che tutto mi piace tutto, ma se un prodotto è buono resta tale e non ho paura a confrontarmi con cibi a me sconosciuti. Poi in Italia è più facile dire così perché da noi lo street-food è una cosa seria, ma anche all’estero mi cimento con una certa temerarietà con cibi da strada della Cina, India. È importante avvicinarsi allo street-food per capire in che paese ci si trova e cosa si mangia.
Cosa dobbiamo imparare dalla ristorazione internazionale e cosa possiamo insegnare?
È cresciuta molto la qualità dei ristoranti italiani, intesa come cucina, ma dobbiamo ancora fare tanto per ciò che attiene la sala, non siamo ancora all’altezza dei grandi ristoranti stranieri. La scuola in Italia per questi mestieri deve fare ancora tanti passi in avanti. Esiste quindi un gap tra l’evoluzione della cucina rispetto alla crescita nel ristorante nel suo complesso. Mentre gli stranieri dovrebbero imparare da noi il rispetto e la cultura della straordinaria varietà dei prodotti di cui disponiamo, soprattutto in certe forme di cucina d’avanguardia, come quella spagnola dal 2000 in poi, ha avuto una grandissima evoluzione tecnica a scapito dell’interesse della qualità dei prodotti. Applicando certi tecniche non si valorizza la qualità dei prodotti ed i nostri chef, invece, difendono strenuamente anche perchè disponiamo di un patrimonio straordinario di prodotti di terra e di mare.
Per la sua autorevolissima guida ci sono nuovi progetti in cantiere?
La novità principale è stato il miglioramento e la fruibilità del sito www.guideespresso.it/, in modo che la guida non parli una volta all’anno ma in modo continuativo, il nuovo sito è nato il giorno della presentazione della guida.