La cantina dei Barbi con le sue 300 botti in legno e le migliaia di bottiglie di Brunello in affinamento, è aperta al pubblico da oltre 50 anni. In questo periodo oltre un milione e mezzo di amanti del vino hanno visitato le sue sale, ammirando tra l’altro la collezione di bottiglie che va dal 1870 ai giorni nostri, testimonianza di una continuità che la rende unica in Italia.
I Brunelli della Fattoria dei Barbi hanno ricevuto premi in tutta Europa dalla fine dell’800, e ancora oggi ne vincono in tutto il mondo.
La Fattoria dei Barbi è sempre stata una custode della tradizione, ma anche attenta all’innovazione e pioniera in ogni campo dell’enologia.
Qual è la storia della sua azienda?
È difficile descriverla, perché le proprietà di famiglie antiche come la mia mutano nei secoli. Noi Colombini a metà ‘300 avevamo il castello di Poggio alle Mura, da cui ci hanno scacciato i Salimbeni mezzo secolo dopo. Ci siamo spostati ad Argiano che poi fu venduto, e nel 1790 acquisimmo in dote la Fattoria dei Barbi. Che a sua volta si è espansa e ristretta più volte per matrimoni, divisioni, acquisizioni e vendite. Ma sempre abbiamo fatto agricoltura, e vino. Già ai primi dell’800 esportavamo vini di Montalcino in bottiglia, e dal 1892 facciamo Brunello. I Colombini sono un’antica famiglia senese, che ha ricoperto cariche di governo a Siena da poco dopo l’anno millecento
Come si coniuga la tradizione con l’innovazione?
Niente dura a lungo se non cambia, perché il mondo muta continuamente. Però ha poco senso continuare, se pur di sopravvivere si è persa la propria anima, il proprio modo di essere. Per questo noi Colombini siamo attentissimi a salvaguardare la sostanza di ciò che siamo, e i luoghi dove viviamo, ma siamo sempre pronti ad adeguare la forma ai tempi che mutano, ovvero i modi di lavoro e le tecnologie. Questa è la ragione per cui dopo tanti secoli siamo ancora qui, e sempre protagonisti.
Qual è la tecnologia utilizzata e come funziona il processo produttivo della vostra cantina?
Sia in vigna che in cantina cerchiamo la migliore tecnologia per mantenere i sapori della tradizione, ma rendendoli sostenibili. Sia dal lato dei costi di produzione che da quello ambientale, perché l’azienda non sopravviverebbe se non producesse a costi ragionevoli né se distruggesse l’ambiente grazie al quale esiste. Adottiamo il sistema di allevamento a cordone libero in vigna, sia perché da uve più sane e con molto minor fabbisogno di acqua e di trattamenti, sia perché costa meno gestirlo. Facciamo una agricoltura sostanzialmente biologica, ma non siamo certificati biologici perché il sistema di controlli sul biologico mi sembra una presa in giro. In cantina usiamo più fisica che chimica, perché è molto meno invasiva e non da residui insalubri. Per cui enorme cura dell’igiene, massima meccanizzazione e ampio uso di ghiaccio secco. Così otteniamo vini con bassissima solforosa aggiunta e, per ora sperimentalmente, anche senza. Per cui più freschi, più salubri e pochissimo ossidati, adatti a durare a lungo come è tradizione a Montalcino.
Chi è davvero toscano ama il suo territorio perché in ogni sua parte è scolpito, modificato e creato dall’uomo; amare il territorio qui è qualcosa di diverso dall’amore per la natura, è amare ciò che siamo e ciò che siamo stati. E per chi vive della terra e con la terra, come la mia famiglia, questo legame è ancora più forte; noi siamo il territorio, è la nostra ragione di esistere.
Qual è il vostro business model e quali sono i mercati a cui vi rivolgete?
La nostra azienda esiste da secoli, e agisce in modo coerente per durare altri secoli. Per questo la nostra filosofia aziendale è di dare ai nostri clienti prodotti di qualità molto alta, costante e con la massima cura per l’immagine. I nostri prezzi sono sempre alti, ma stiamo molto attenti a che non siano eccessivi perché il vino deve essere bevuto. I nostri clienti sono gli amanti di vini di prestigio, in tutto il mondo.
Ad oggi quali sono i vostri numeri sul mercato?
In media produciamo da 200.000 a 270.000 bottiglie di Brunello di Montalcino all’anno, e da 400.000 a 500.000 di altri vini del nostro territorio come Rosso di Montalcino, Chianti, Morellino di Scansano, Maremma Toscana, IGT Toscana rosso e bianco, Vinsanto, grappa e olio di oliva.
Progetti per il futuro?
Sviluppare il Distretto Rurale di Montalcino, perché il nostro territorio deve essere sinonimo di alta qualità certificata e controllata in campo agroalimentare. Noi siamo i primi produttori in Italia di miele e di farro, ma nessuno lo sa. E si tratta di prodotti di qualità assoluta. Abbiamo tartufo bianco, zafferano, formaggi unici e un ottimo olio di oliva, un territorio splendido per passeggiare e per passare vacanze memorabili. Tutto questo va messo “a sistema” con il vino, per continuare ad avere un territorio vitale e diversificato con tanto da offrire per chi ama le cose buone.
Dal 1870 in poi abbiamo quasi tutte le annate.
Stefano Cinelli Colombini è nato il 26 ottobre del 1956 a Firenze, cosa un po’ strana per un senese di famiglia antica. Pur essendosi laureato in legge, invece di diventare avvocato ha scelto di lavorare nelle fattorie di famiglia. E così nel 1981 si è trovato tra vini e vigne ma non solo, perché la Fattoria dei Barbi è vasta; c’erano centinaia di ettari da seminare, i boschi, gli agriturismi, il molino aziendale, gli allevamenti, gli oliveti, la norcineria, il caseificio, la Taverna e tanto altro. Dal 1985 cura le vendite che sono cresciute fino a trentacinque paesi, portando le 300.000 bottiglie di allora a 700.000. Dal 1981 al 1999 ha diretto la Fattoria del Colle a Trequanda, un piccolo borgo nella provincia senese che appartiene alla famiglia paterna fin dal Medioevo. Lì ha realizzato un agriturismo da 110 posti letto, ha restaurato la storica villa, i tanti casali e le vigne a Chianti. Ora quella proprietà è di sua sorella Donatella. Nel 1997 ha acquistato l’Aquilaia a Scansano, una fattoria di 104 ettari con 28 di vigne inserite nella denominazione del Morellino. Lì ha realizzato la cantina, ha reimpiantato le vigne e rimesso in uso i casali che si affacciano sul Mar Tirreno. Dal 1980 è stato eletto varie volte nei consigli dei Consorzi di Tutela del Brunello di Montalcino e del Morellino di Scansano. È membro dell’Accademia Nazionale della Vite e del
Vino e dell’Accademia dei Georgofili, la più antica e prestigiosa istituzione di agricoltura del mondo. Ha gestito l’aumento dei vigneti della Fattoria dei Barbi dai 22 ettari del 1981 agli oltre 110 attuali, tutti realizzati con l’innovativo sistema a cordone libero che permette una forte riduzione dell’uso di fitofarmaci, del fabbisogno idrico e della manodopera pur aumentando la sanità e la qualità dell’uva. Nel 2001 è stato il primo a sperimentare in Europa (con l’Università di Pisa) la macerazione a freddo delle uve rosse. Dal 2002 sta sviluppando con l’Università di Bologna quattro cloni di sangiovese di Montalcino dalla vigna di Poggitoia, la più antica del Brunello; saranno tra i pochissimi cloni di sangiovese del territorio disponibili. È stato il coordinatore di un progetto di ricerca CEE tra le Università di Siena, Malmö e Coimbra per un “Naso Elettronico” per identificare i diversi vitigni presenti in un vino. Dal 1997 ha creato il Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello in mille metri quadri di antiche stalle, un no-profit che ha il fine di comunicare la grande storia del Brunello e delle generazioni di grande cultura che l’hanno creato. Ha fondato il mensile “Gazzettino e Storie del Brunello e di Montalcino”, che è uscito dal 2000 al 2008. Nel 2016 ha pubblicato “Appunti per una storia di Montalcino e del Brunello”, una breve storia della città e del Brunello dalle origini ai nostri tempi. Stefano è un appassionato di musica classica, di arte, storia e ama passeggiare e correre in campagna, quando è possibile con il giovane figlio Giovanni.