Durante le mie vacanze in Sardegna ne ho approffittato per visitare alcune eccellenze. come Josto di Pierluigi Fais.
Sembra apparentemente un ossimoro, eppure in tempi di Covid anche le tradizioni gastronomiche vanno scandagliate, sviscerate, a loro modo, nei limiti del possibile, rivisitate e rinnovate: lo sa bene lo chef sardo Pierluigi Fais, trentasettenne di Oristano trapiantato a Cagliari, che in pochi anni ha saputo creare, nel capoluogo regionale, una variegata offerta gastronomica, gestendo, con famiglia, brigata e collaboratori vari, ben tre locali, all’insegna dell’ibridazione e duttilità, fra stili e generi, coniugate con una pervicacia ai limiti dell’ostinazione.
È oramai una certezza Framento, pizzeria da tre spicchi gamberi rosso, che ha fatto della sua cifra stilistica l’utilizzo ed impiego di farine non raffinate e lievito madre, è datata allo scorso inverno l’apertura della macelleria gourmet Etto, nel cuore del Rione Stampace, “antica macelleria moderna” (altro ossimoro), simbolico luogo di consegna poiché sorta sulle ceneri di un antica attività di quartiere, ed ora estesa anche alla possibilità di somministrazione al banco: fulcro di questa sua rete, complementare ed integrata, di attività ristorative, rimane tuttavia il ristorante Josto, progetto originario di fine-dining, anche questo rinnovato di recente, sia nella concezione che nelle rifiniture di arredamento.
Completamente autodidatta, lo chef Fais ha mosso i primi passi nella ristorazione nell’attività imprenditoriale familiare – albergo, dunque turismo ricettizio – per poi dedicarsi all’apprendimento delle tecniche di lavorazione e produzione, segnatamente della carne e dei lievitati, sino all’intrapresa dei ristoranti a proprio nome: incontrandolo in una calda serata di fine Luglio, da due chiacchiere informali è palese la soddisfazione e l’appagamento per essere riuscito ad uscire indenne da un periodo così critico e problematico a seguito dell’emergenza sanitaria, di sicuro grazie a quella umiltà e capacità di adattamento che sono suoi tratti caratteriali ed operativi.
La barba è da hipster, ma nei modi affabili non vi è alcuna affettazione, la complessione magra ne rivela il dinamismo, fra sala, gestione delle comande e direzione della brigata di cucina: rispetto alla visita dello scorso anno, ciò che emerge è un cambio di passo nella direzione di un alleggerimento dell’offerta, con delle maggiori elaborazioni riservate ai menù degustazione, apertura riservata solo a cena ed all’aperitivo, accentuazione del tocco “industrial” nel design del locale, possibilità di tavoli esterni e grande attenzione ai vini da agricoltura biologica e bio-dinamica, senza tuttavia costringimenti distributivi e logiche corporative (lo stesso Fais, sommelier, cura l’elaborazione della carta dei vini ed i pairing).
Tornando alla degustazione, anzitutto interessante la disamina dei menù proposti, dovendosi scegliere fra “Josto l’antipasto tosto”, cinque portate costituenti sorta di “tapas” dei piatti in carta, “portatecinqueportate”, menù degustazione con i piatti a la carte scelti dallo chef rispondendo a logiche di progressione gustativa, ed infine – novità dell’anno – “crudi d’amare”, composto, come esplicita il nome, esclusivamente da coquillage e cruditè, di pescato locale.
Nessun signature dishes, ma variazione mensile dei piatti, il concept è chiaro ma sempre con i dovuti accorgimenti (ed aggiustamenti), l’acidità è ricercata nelle preparazioni sebbene senza eccessi, l’entreè costituisce uno dei piatti memorabili della serata, “giardiniera con granita di cavolo rosso” a cui è stata abbinata, in maniera eterodossa ed incisiva, una “Vernaccia di Oristano Flor del 2008” della Cantina Contini: si prosegue con un baccalà in umido, in pairing “Alvas 2018” di Gianfranco Manca – Azienda Pane e Vino – da coltivazione organica, blend di vitigni autoctoni macerati lungamente sulle bucce, sorso sapido e lungo.
Il risotto con fragole fermentate, piatto successivo, si avvale di un gioco di rimandi olfattivi e gustativi agli anni ottanta, ma il risultato è straordinariamente attuale, perfetta la cottura del riso, in abbinamento altro vino biologico, “Maria Pettena 2018”, rosato della Cantina Piergraziano Sanna in Mamoiada, colore rosa cerasuolo, al naso note fruttate e floreali in bella evidenza, davvero un connubio riuscito ed evocativo.
Chiudiamo questa serata, emozionante e rassicurante come solo i luoghi aviti sanno essere, con un taglio di pecora – in abbinamento un Cannonau biologico “Saccarè 2016” dell’azienda agricola Pusole – I.G.T. Ogliastra, seguito da un delizioso crumble alla nocciola e cioccolato, accompagnato dal vino da dessert “In Fundo – Sibiola I.G.T.” dell’Azienda Maurizio Altea, vendemmia tardiva di Moscato, anch’esso da agricoltura biologica: insomma,concludiamo che essere identitari non significa essere campanilisti, vivi complimenti a Pierluigi Fais.
Carlo Straface
Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento.
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