Chef Simone Profeta, unitamente all’inseparabile maitre sommelier Alessandro Venegas, unisce rigore tradizionale ed una misurata creatività, nelle proprie creazioni gastronomiche.

In una delle arterie più eleganti e rinomate di Napoli, Vico Satriano – storiograficamente menzionato e descritte da intellettuali eminenti del calibro di Goethe, nei propri soggiorni nel capoluogo partenopeo – è ubicata La Locanda del Profeta dell’omonimo chef Simone, contigua alle famose vie dello shopping nel quartiere Chiaia.

Da sinistra: chef Simone Profeta e Carlo Straface

Stilema culinario composito e stratificato, potremmo definirlo come un “concept” originario del titolare in continuo divenire – essendo lo stesso anche consulente gastronomico per “start up” di imprese di settore -caratterizzato da una vocazione gourmet, con ingredienti ricercati, impiattamenti ed abbinamenti di gusto e grande suggestione.

Antro delicatessen, bistrot, ristorante fine-dining “popolare” in una vocazione primigenia, molte potrebbero essere le descrizioni che si attagliano per un simile progetto. L’impressione che se ne ricava, all’ingresso, è quello di un ricercato cosmopolitismo, dalle marcate influenze etniche: soffitto a volta con mattoni in vista, piastrelle napoletane e lampade in rame, sedie rustiche in legno, con un enorme tavolo al centro in legno massello di origine indiana, che conferisce risalto all’impiantito.

La direzione della sala affidata al dinamico al maitre Alessandro Gonzalez Venegaz, – di origine cilena – anche sommelier fautore di creativi pairing, con un occhio strizzato, nell’allestimento della cantina che conta oltre cento referenze complessive, ai vini biodinamici e naturali, importanti etichette mutuate, sovente, dal corposo catalogo di “Triple A”.

Grande attenzione profusa nelle cotture – una cucina tutto sommato di dimensioni non ingenti, ma tecnologicamente evoluta, attrezzata con forni elettrici e digitali a convezione, macchine cotture in sottovuoto, roner – lo chef Profeta è anche testimonial del gruppo “Rational”, leader mondiale nel settore della fornitura di macchinari tecnologici “intelligenti” per l’alta  gastronomia, specializzato nel “cook and chill”, ovverosia cottura, abbattimento e rigenerazione degli alimenti.

Come cursus honorum, dopo il diploma conseguito all’Istituto Alberghiero nella nuova “capitale della gastronomia regionale” Vico Equense, esperienze formative dirimenti oltremanica, poi rientrato nei luoghi aviti dopo un prestigioso stage presso l’Hotel Capri Tiberio Palace, stella polare la cultura dell’accoglienza ed ospitalità, ed il rispetto delle materie prime.

Passando all’estesa degustazione, si inizia con l’appetizer “patate e tartufo”, seguito dalla “tartare di tonno, stracciatella di bufala, basilico e pomodoro confit”, in pairing il metodo tradizionale d’Oltralpe “Saint Meyland Nature Brut” della Maison Bailly Lapierre, sapiente blend fra Pinot Noir e Chardonnay, affine, per certi versi, ai Cremant de Borgougne, anche se fuori dall’Aoc.

Si prosegue con il secondo vino offerto in degustazione, “Le Coccinelle” Langhe Bianco D.O.C. 2017 dell’azienda agricola Brandini, perfetto per sostenere la complessità della tartare, un Arneis dalle notevoli potenzialità evolutive, con sentori di frutta tropicale che si alternano a note aromatiche e di gelsomino.

Sul vitello tonnato – interessante la contrapposizione fra le consistenze degli ingredienti – è proposto l’eterodosso “Rimosso – Lambrusco di Sorbara D.O.C. 2020” di Cantine della Volta, un raffinato “pet-nat” ovverosia rifermentato in bottiglia, sapido e gustoso, dalla marcata versatilità.

Ancora, è la volta dell’uovo in camicia con spuma di patate e carciofi e pancetta croccante, incredibilmente morbido e calibrato, sul quale degustiamo il Vino Renosu Bianco 2018 dell’azienda sarda Tenuta Dettori, una leggera macerazione per un prodotto davvero interessante ed incisivo, che non sovrasta il tenore della preparazione.

Due i piatti conclusivi, prima del dessert, entrambi definibili senza riserve “signature dishes” dello Chef Profeta, ovverosia la genovese, preparata esclusivamente con manzo – nessun parossismo da cottura prolungata – e ziti dell’azienda “Le gemme del Vesuvio”, e la guancia brasata cotta a bassa temperatura con purea di patate e fondo bruno, da mangiare rigorosamente “senza coltello” attesa la completa demolizione dei tessuti connettivi della carne ottenuta dallo chef.

Sorprende ed innova il sommelier la riguardo, proponendo, sulla genovese, l’aromaticità e la mineralità del Grillo 2020 D.O.C. dell’Azienda siciliana Baglio di Grisi di Monreale, mentre sul brasato l’imponente e tuttavia snello Barolo D.O.C.G. 2015 Casa di Mirafiore, versato con tanto di coravin per preservarne caratteristiche organolettiche di conservazione.

Sul dessert, cocotte di cioccolato fondente ripieno di mousse alla fragola e gianduiotto “home-made” infine, concludiamo con l’eleganza del Passito di Pantelleria D.O.C. Turbè 2014 dell’azienda Salvatore Murana, seguito dal rum bianco agricolo PMG dell’isola delle Antille Francesi Marie Galante, storica ed iconica collaborazione fra i maestri distillatori Capovilla e Ruruki Gargano di Velier, al termine di una degustazione davvero memorabile.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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