L’arte dell’attesa di Andrea Köhler
[amazon_link asins=’8867831623′ template=’ProductCarousel’ store=’antoniosava0c-21′ marketplace=’IT’ link_id=’f46fe31a-1c73-11e8-8a44-05aed360d1b8′]
è un libro che si legge in poche ore. Non perché sia semplice e breve, ma perché ci si fa prendere dalla voracità, dalla voglia di andare fino in fondo.
È un libro che parla della capacità umana di saper (o non saper) attendere e lo abbiniamo ad un vino particolare, ad un Madrigale un vino “dolce naturale”, un Primitivo di Manduria
[amazon_link asins=’B00734V2IU’ template=’ProductAd’ store=’antoniosava0c-21′ marketplace=’IT’ link_id=’47cbe9b5-1c74-11e8-856e-adf690f0acab’]
che per essere bevuto bisogna attendere il dolce. Bisogna attendere di arrivare a fine pasto, o a metà giornata per accompagnare uno spuntino con pasticceria secca, alle mandorle magari. Questo vino dal colore rosso rubino-violaceo intenso con riflessi porpora (complesso, con note di marasca ed altri frutti rossi, sentori di frutta secca e cacao nel finale; dolce e caldo al palato, morbido, intenso e persistente) nasce in Puglia, nei terreni che guardano verso il Mar Jonio, dove le uve vengono lasciate maturare sulle piante fino ad un leggero appassimento. In sostanza bisogna saper attendere per poter avere il meglio, o comunque le giuste caratteristiche richieste per ottenere questo vino.
Perché l’attesa fa parte della nostra vita.
Telemaco, il figlio di Ulisse, attende il ritorno del padre; prega affinché sia ristabilita nella sua casa, invasa dai Proci, la Legge della parola, è la tesi di Massimo Recalcati, autore del libro Il complesso di Telemaco
[amazon_link asins=’8807172550′ template=’ProductAd’ store=’antoniosava0c-21′ marketplace=’IT’ link_id=’e49002c7-1c73-11e8-af4b-29445e77e797′]
Milan Kundera nel suo saggio “La lentezza” si chiedeva: Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri tra i campi, insieme ai prati e alle radure, insieme alla natura? Un proverbio ceco definisce il loro placido ozio con una metafora: essi contemplano le finestre del buon Dio. Chi contempla le finestre del buon Dio non si annoia; è felice.
Ed aspettare è una imposizione. “Eppure è l’unica cosa — scrive Andrea Köhler — che ci fa percepire fisicamente il logorio del tempo e ce ne fa conoscere le promesse. Esistono infinite forme di attesa: in amore, dal medico, alla stazione o nel traffico. Aspettiamo: l’altro, la primavera, i numeri del lotto, un’offerta, il pranzo, la persona giusta, e aspettiamo Godot. I compleanni, i giorni di festa, la felicità, i risultati sportivi, un referto. Una telefonata, il rumore della chiave nella toppa, il prossimo atto e la risata dopo il finale di una barzelletta. Aspettiamo che un dolore smetta e che ci colga il sonno o che il vento si plachi. Inerzia, distrazioni o noia: nel registro delle ore programmate, l’attesa è la pagina vuota da riempire. Che nel migliore dei casi ci ricompensa con la libertà.”
Tutta la nostra vita è fatta di attesa. Talvolta si tratta di un’attesa spiacevole e temuta, altre piacevole ed illuminante. Accompagnate la lettura di questo libro con un calice di Madrigale: di sicuro andrete fino in fondo all’ultima pagina. Il rischio è di andare fino in fondo alla bottiglia, anche.