Abbiamo incontrato, affacciati su uno dei panorami più belli di Napoli, lo chef di Palazzo Petrucci ristorante napoletano, stella Michelin già dal 2008, ristorante più digitalizzato d’Italia, che dalla originaria sede di Piazza San Domenico Maggiore si è spostato nella attuale e spettacolare “location” a tre piani dove offre al suo pubblico una serie di servizi che non si limitano alla ristorazione stellata ma comprendono eventi, sala “Lounge”, “Cooking Show” e tanto altro.
Chi è Lino Scarallo?
Io oggi sono il “cuoco” di Palazzo Petrucci. Non mi piace dire chef, che significa capo, perché significa solo essere al vertice di una gerarchia. Io ritengo che la cosa fondamentale sia piuttosto essere “leader” di un gruppo. Il leader a differenza del semplice capo è quello che riesce a coinvolgere tutta la sua squadra, affidando a tutti delle responsabilità. In questo modo si contribuisce a far realizzare ad ognuno i propri sogni nel cassetto, i propri obiettivi e si ottiene un lavoro migliore. Far sentire i membri della propria squadra importanti al pari di chi è al di sopra di loro è fondamentale a mio parere, perché in questo modo ci si sente tutti parte di un qualcosa di comune.
La mia squadra per me è una forza enorme e quindi importantissima e cerco di coinvolgere tutti allo stesso modo, dando loro nei limiti del possibile varie mansioni.
Come nasce il tuo rapporto con la cucina?
Io sono un curioso, una persona che deve capire, imparare, ho sempre avuto voglia di crescere e andare oltre.
La tavola e il cibo sono sempre stati importanti nella mia famiglia. Mio padre era proprietario di alcune macellerie quindi per noi ciò che arrivava in tavola, non solo la carne, doveva essere sempre di grande qualità, magari anche poco ma sempre buono.
Poi c’era mio nonno che dopo la scuola mi portava a mangiare nelle vecchie trattorie, le cosiddette “Oli e vini” che andavano di moda allora.
Da qui il mio amore per la tradizione, per la cucina napoletana che oggi ripropongo con particolare attenzione alle materie prime.
Ho frequentato in seguito l’istituto alberghiero che mi ha avvicinato ancora di più a questo mondo. Già a 15 anni ho cominciato a lavorare nell’ambiente, fin quando a 19 anni mi sono fermato per un periodo, sentivo di non avere le idee chiare.
Dopo un anno sabbatico durante il quale pensavo di voler fare i lavori più disparati, la vocazione per la cucina è stata più forte e mi ha riportato ai fornelli.
Ho fatto alcune esperienze in giro per l’Italia e il mondo e poi c’è stato l’incontro con il Dott. Eduardo Trotta che mi ha portato a Napoli. Cominciare a lavorare nella mia città è stato bellissimo perché mi ha portato innanzitutto vicino alla mia famiglia e poi mi ha consentito di iniziare un percorso importante a casa mia.
Da una situazione più ristretta a Piazza San Domenico siamo arrivati qui a Posillipo in una struttura che ci consente di offrire cose diverse, ristorante, eventi, “Lounge, una offerta diversificata che è attualmente un punto di forza. E tanto ancora ci proponiamo di fare per noi e per la città di Napoli.
L’arrivo della stella cosa ha rappresentato?
La stella Michelin è stata un riconoscimento importante per noi oltre che uno stimolo. La stella è un riconoscimento a scadenza che va riconfermato ogni anno e quindi ci spinge a fare sempre meglio. Riportare la stella a Napoli nel 2008 per noi è stato bellissimo, in un momento in cui la città cominciava a vivere una rinascita a livello turistico. Offrire alla città una struttura che cura l’accoglienza nei minimi particolari, puntando anche sull’eccellenza, riteniamo che sia importante per una città come la nostra. Per questo per esempio siamo sempre aperti, anche nelle festività, proprio per dare a chi arriva a Napoli la sensazione di trovarsi in una città che sa trattare il turista e sa farlo sentire a casa. La nostra città ha tanto da offrire ma dal punto di vista dell’accoglienza forse deve ancora crescere e noi cerchiamo di dare il nostro contributo.
Anche in questo la stella è stata fondamentale, ci ha resi consapevoli del fatto che bisogna sempre dare di più e che al centro di tutto bisogna mettere il cliente.
Cosa cambia in una cucina dopo l’arrivo della stella?
Non cambia tantissimo perché per arrivare a prenderla devi avere comunque standard alti.
Gli ispettori cominciano a seguirti con maggior continuità ma nel piatto non cercano necessariamente la ricercatezza. Puoi anche presentare una seemplice bruschetta ma con olio eccellente e pomodori fantastici.
Io continuo a preferire la concretezza nel piatto e resto legato alle mie tradizioni.
Continuiamo a proporre “sostanza”, nelle materie prime, nelle tecniche di cucina, nel servizio di sala, altra cosa fondamentale per trasmettere il giusto messaggio che lo chef vuole raccontare.
Lo chef secondo me si presenta con i suoi piatti quindi chi li serve deve sapere cosa trasmettere al cliente, deve saper spiegare le intenzioni dello chef.
Con la stella ci si sente più sotto osservazione?
Sicuramente grazie ai media oggi ci si sente costantemente sotto osservazione e la Michelin ancor di più ti espone al giudizio di una intera comunità, aumenta le aspettative di tutti.
Napoli poi è una piazza particolare, legata fortemente alla tradizione in cucina quindi l’attenzione verso l’innovazione/particolarità è altissima.
Devi meritarti in qualche modo la visita e l’affetto del cliente ma devo dire che la città risponde bene alla nostra cucina, riconoscendo il legame forte con la tradizione.
Cosa ti piace di più della tradizione? Cosa proponi al cliente che ti chiede un piatto della tradizione a tua scelta?
Sicuramente la pasta, uno dei simboli di Napoli. Fondamentale per me è trasmettere nei miei piatti la riconoscibilità di un posto. Il caviale puoi mangiarlo in tutto il mondo, il vero ragù napoletano solo qui.
Dal piatto devi percepire il posto in cui ti trovi. A Napoli devo proporti un friariello, una genovese, una pastiera, rielaborati da me ma pur sempre riconducibili al territorio.
La trasgressione più grande che hai fatto in cucina?
Diciamo che ho dato abbastanza in fatto di trasgressione. La mia “Stratificazione di pastiera”, la “Metamorfosi di pizza margherita”, il “Tarallo morbido”, la “Mozzarella con i gamberi”, forse il mio piatto più copiato in assoluto.
Cosa Pensi degli chef che rinunciano alla stella?
Io credo che chi rinuncia lo fa perché ha problemi di tipo diverso. Chiunque fa questo lavoro vede la stella Michelin come un obiettivo importante, come vincere il campionato o la Champions.
Poi per essere onesti bisogna anche ammettere che la stella rappresenta un incremento di fatturato che aumenta con l’aumentare delle stelle.
Poi magari qualcuno può non accettare il fatto di non ricevere il livello più alto di questo riconoscimento ma è un discorso diverso.
A mio parere lo chef stellato ha anche un messaggio etico da portare avanti, una responsabilità verso i giovani che oggi ci guardano sempre di più come dei modelli da imitare, quindi ciò che trasmettiamo è importante anche per chi ci guarda. Ricevere la stella Michelin comporta delle responsabilità che ti cambiano in qualche modo la vita e forse potrebbero risultare troppo pesanti per alcuni.
Sei in uno dei posti più belli di Napoli? Ti vedresti altrove? E in futuro?
Non mi vedrei altrove perché questo significherebbe non stare bene dove mi trovo adesso e non è assolutamente così..
Per quanto riguarda il futuro, io preferisco vivere giorno per giorno, il mio futuro è stasera, domani, poi si vedrà.
Porteresti altrove Palazzo Petrucci?
Non ancora perché ritengo che dobbiamo raggiungere ancora tanti obiettivi qui a casa nostra.
Abbiamo ancora molto da dare alla città.
Il posto fuori dall’Italia che ti ha entusiasmato di più?
Ho cucinato in tanti posti ma ricordo con grande piacere un importante evento “Wine” a Montpellier nel quale proponevo la cucina napoletana (salsiccia e friarielli, genovese, braciola, pastiera). Si formò una fila lunghissima e le persone, pur di assaggiare i miei piatti, chiesero di avere le mezze porzioni, pagandole per intero, per dare la possibilità a tutti i presenti di provare la mia cucina.
Lino, mi devi togliere una curiosità. Come hai pensato la tua famosissima pastiera?
Mah, io sono uno che in cucina agisce d’istinto, mi piace giocare, provare, sperimentare, partendo sempre dallo studio.
Parlo di gioco ovviamente e non di scherzo, perché lo scherzo è fatto per ridere, è una cosa immediata fatta senza pensare troppo, il gioco invece presuppone studio, pensiero, tecnica.
Con questi presupposti sono nati i miei piatti più particolari.
E il piatto che Lino farà ancora tra 30 anni?
Sinceramente? Penso tutti quelli che già da tempo continuano a riscontrare i consensi della gente.
Ieri sera lo chef Scarallo è stato tra i protagonisti di Masterchef Italia, ecco il suo intervento: