Procida rappresenta, in un ipotetico freudiano conflitto con il padre, la vittoria di Edipo. È una vittoria fatta di assenza e di attesa, perché il padre non c’è, è in viaggio, è in mare, è lontano. E il tempo sulla terra ferma è scandito dagli intervalli di presenza tra i lunghi mesi di assenza del genitore.
I procidani, quelli un po’ più avanti con gli anni, vivono in questa terra di mezzo tra il passato e il presente; tra un passato fatto di legame con la terra ed il mare e un presente che li obbliga all’accoglienza, che li obbliga a condividere quegli stessi legami con i turisti. Un’accoglienza un po’ forzata, insomma.
Procida è una enorme roccia di tufo e basalto che attende il ritorno del padre; è Arturo — confuso e spiazzato dalla verità del padre — ed è Telemaco che attende il ritorno di Ulisse, affinché ristabilisca la legge.
Nel frattempo però Telemaco ha imparato a cucinare, perché (a differenza di Arturo) ha passato tanto tempo con sua madre e le altre donne della famiglia.
Infatti a Procida si mangia bene. La cucina procidana è fatta di prodotti della terra, come i limoni e i carciofi, e ovviamente del mare. L’insalata di limoni, con aglio, olio, peperoncino, sale e menta è il piatto tipico; anche se quasi tutti i ristoranti l’hanno dimenticato.
È difficile fare una classifica, perché davvero a Procida si mangia mediamente bene ovunque: se non segui — per vari motivi — diete particolari (intolleranze, senza glutine ecc.), non hai alcun problema a trastullarti tra le varietà di pesce proposte.
Il problema potrebbe nascere — a voler sfidare ristoratori e chef — quando ti siedi a tavola e dichiari di essere vegano: si passa dalla bestemmia interiore alla classica ed evidente caduta di braccia.
Eppure il piatto tipico di Procida, l’insalata di limoni, a pensarci bene è vegano; e la pasta al pomodoro – piatto principe della cucina mediterranea – a pensarci bene, è vegana.
Ma l’imbarazzo dura in genere pochi secondi, soprattutto se stai al porto da Sent’co: Leonardo saprà accontentarti con prodotti della terra di ottima qualità o magari con una buona pizza — a mio parere, la migliore.
Caracalè, non è la “Graziella” dell’isola. Gode di buona fama — se vai a Procida non puoi non cenare da Caracalè, infatti è sulla guida Michelin assieme al ristorante Gorgonia (entrambi in zona Coricella) ma è decisamente nella media dell’isola; una media molto alta certo, ma non emerge, soprattutto in estetica.
Sempre alla Coricella, ma un po’ più in alto, in una zona decisamente panoramica, c’è La Lampara che vale la pena andarci anche solo per la vista su una delle baie più belle del mondo.
Dall’altra parte dell’isola, c’è il ristorante del Lido di Procida, ottimo per il pranzo, tra un tuffo e l’altro. Poco più in là – sempre zona lido – c’è Girone: dimenticatevi del comfort e godetevi il panorama mozzafiato con Ischia a due passi. Girone è pura follia, è spettacolo, è caos e attenti a non lasciar nulla nel piatto, il padrone di casa potrebbe un po’ …diciamo risentirsi. Ottime le materie prime e buonissimi i dolci.
Da Crescenzo, zona Chiaiolella, è una tappa obbligata. Sul podio con Sent’co e Girone, è l’unico che propone una cucina fatta anche di attenzione all’estetica, alla presentazione. Probabilmente ha la migliore carta dei vini dell’isola.
Infine il Galeone, che gode di una posizione strategica: da un lato affaccia sul lido e dall’altro sulla Chiaiolella, una sorta di aria condizionata naturale. La cosa migliore da fare è andarci a pranzo durante le calde giornate d’estate, o la sera per una pizza.
A Procida si mangia bene ovunque, è difficile stilare una classifica; conta molto la zona, il panorama, la passeggiata, e i padroni di casa spesso fanno la differenza in termini di accoglienza – il cliente vuole sempre essere un po’ coccolato e sentirsi protagonista e in questo Sent’co e Crescenzo sono sopra la media abbondantemente.