La pastry chef Martina Brachetti ha frequentato la scuola di pasticceria Coquis di Roma con lo Chef Salvo Leanza. Importanti sono stati gli stage formativi presso il ristorante Fat Duck ed il ristorante The Square in inghilterra. Altra tappa importantissima per la sua crescita è stata la Maison del Maestro Pierre Hermè, un monumento della pasticceria francese. Nel 2015 ha avuto il grande onore di entrare a far parte della brigata di pasticceria del ristorante La Pergola di Heinz Beck dove ho avuto modo di accrescere moltissimo le mie competenze grazie alla guida del Maestro AMPI Giuseppe Amato. Attualmente ricopre il ruolo di Pastry Chef al San Barbato Resort di Lavello in Basilicata
Un po’ come tutti gli italiani, ho avuto le mani in pasta sin da piccola. La pasticceria in particolare mi ha sempre affascinata poiché è un lavoro artigianale, con mille sfaccettature in cui ci si può esprimere liberamente. La decisione è stata influenzata anche dall’esordio, a 10 anni, del diabete giovanile, da lì ho pensato che se non puoi distruggere il tuo nemico, puoi sempre fartelo amico. Così immettendomi nel mondo della pasticceria ho imparato a conoscere meglio anche la mia malattia.
Come nasce invece la tua formazione?
Prima di intraprendere un corso professionale ho lavorato stagionalmente presso stabilimenti balneari, dove preparavo torte di base, poi banchetti e piccoli eventi. Ho deciso poi di frequentare un corso professionale presso la scuola Coquis di Roma, da qui il mio percorso ha preso una strada diversa lavorando in posti di alto livello come il Bistrot 64 a Roma, la pasticceria Belle Helene di Tarquinia, il ristorante La Pergola di Heinz Beck a Roma e La Parolina di Iside De Cesare.
Ho accettato la sfida del San Barbato poiché è un progetto del tutto nuovo in un territorio vergine. Chi non vorrebbero avere una tela vuota a disposizione su cui dipingere ciò che vuole?
Ci puoi descrivere come nasce un dolce (sia la fase di concepimento che di realizzazione)?
Per me spesso un dolce nasce dal nulla o da un pensiero legato ad altro. In primis parto dalle consistenze che devono essere varie, poi mi concentro sull’ingrediente o sul tema principale andando ad aggiungere elementi che lo esaltino o che siano il suo opposto, l’importante è che il dolce lasci una sensazione pulita e gradevole al palato. Infine e non per ordine di importanza, si trovano il lato estetico e cromatico che sono fondamentali per la realizzazione di un ottimo dolce. Ovviamente tutti i dolci che creo rispetto la stagionalità e quando possibile l’uso di materie prime a km 0. In più cerco di lavorare con un basso contenuto di zuccheri semplici.
Il mio dolce preferito è una crostata con ganache di cioccolato al latte, cuore di caramello colante, composta di mele e croccante alla nocciola. Per me il dolce deve essere una coccola, e questi ingredienti rappresentano calore e comfort.
Prima solo gli chef in tv, ora anche i pasticceri, cosa ne pensi?
Penso sia giusto, spesso la figura del pasticcere è sottovalutata, quando invece è parte integrante, chiude il pasto e regala alle persone un momento appagante. C’è pero da dire che forse la tv non rende bene l’idea di quello che è veramente il nostro lavoro, lo fa apparire come facile e veloce, cosa non vera.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Aprire un “negozio di dolci”, non una pasticceria né un forno. Vorrei un ambiente in cui sviluppare un’idea più completa del settore della pasticceria e dove poter inserire anche panificazione e cioccolateria. So che sembra vago, ma basta pensare a quanti tipi di dolci esistono: da viaggio, monoporzioni, mignon, da credenza, etc.. Con panificazione si intende: pane, pizza, cornetti, grandi lievitati. La cioccolateria va declinata in cioccolatini, bevande, uova di pasqua soggetti di natale ecc…