Gianbattista Sanna di Orune, detto Nenneddu, è uno di loro, che si è fatto portavoce dei disagi diffusi nella categoria.
L’ho intervistato per i lettori di FoodMakers
Gianbattista, tu spesso, hai parlato agli organi di informazione di quanto sta accadendo. Qual è il tuo ruolo nell’associazione?
Io sono un normalissimo pastore che, come tanti, è stanco di una situazione di emergenza interminabile. Nel 2019 il prezzo del latte che ci veniva riconosciuto, non bastava neanche a coprire le spese. Per questo ci siamo riuniti in una associazione senza bandiere e senza ingerenze politiche e sindacali, per cercare di cambiare lo stato delle cose.
Davanti a questa presa di posizione, le associazioni di categoria, ci hanno appoggiati, almeno verbalmente. Ma a conti fatti, oggi ci troviamo nuovamente coinvolti in una profonda crisi e in uno stato di precarietà che non riusciamo a gestire da soli.
Già lo scorso febbraio, con i primi rincari, abbiamo intrapreso una protesta a Sologo, muovendoci con i trattori, ma purtroppo l’emergenza non è stata arginata, anzi. I prezzi sono triplicati e gli interventi promessi dagli esponenti politici e dalle associazioni sindacali non si sono concretizzati.
In un incontro con Coldiretti e con il Governatore della Regione Sardegna, si è parlato di 40 milioni di euro riconvertiti dall’emergenza Covid, che però non sono mai arrivati. Sarebbe stata una cifra simbolica rispetto alle spese reali, ma comunque una dimostrazione di vicinanza e solidarietà.
In realtà noi allevatori vorremmo ben altro. Vorremmo che il nostro lavoro e le nostre fatiche venissero riconosciute. Ma soprattutto una manovra efficace che vada a calmierare questi eccessivi rincari, frutto di speculazioni finanziarie.
Fino a qualche anno fa, un gregge di 300 pecore rappresentava un capitale. L’attuale svalutazione, ha fatto crollare il valore a poco più di 30 mila euro, e chi ci ha dedicato una vita, adesso si trova in serie difficoltà.
Le bollette altissime di energia elettrica e gas, oltre al caro mangimi vi stanno mettendo a dura prova. Quali sono le strategie che avete intenzione di adottare?
Finito il periodo elettorale, anche per evitare nuove strumentalizzazioni politiche, abbiamo intenzione di muoverci autonomamente per far sentire le nostre ragioni.
Durante questa esperienza mi sono reso conto che la comunicazione è importantissima. Purtroppo, oggi, molte persone, davanti alle nostre rimostranze, si straniscono. Vorremmo far capire all’opinione pubblica che i nostri non sono lamenti, ma moti di ribellione contro questo sistema.
Il settore primario, quello formato da agricoltori e pastori, non vuole assistenzialismo, ma quando si creano questi dislivelli economici, è il primo a farne le spese, insieme ai consumatori finali. Se non si pone un freno, molti si troveranno nelle condizioni di non avere più i mezzi minimi di sussistenza. Persino un litro di latte al supermercato diventerà un lusso.
Ecco cosa mi spaventa, che in tanti non abbiano ancora capito quale sia la situazione reale. In questi tempi, più che mai, servono generosità, solidarietà ed empatia. Perché i problemi sono di tutti, non solo dei pastori, dei ristoratori o dei commercianti.
Gli intermediari, come la Grande Distribuzione Organizzata, fino ad ora, hanno tentato di assorbire parte dei rincari, così come i trasformatori del latte nel caso dei pastori, ma adesso, questa, è diventata una politica insostenibile. Dovranno infatti necessariamente aumentare i prezzi al dettaglio, rendendo ancora più difficile, per molti, fare la spesa, rischiando in questo modo di fermare tutta la filiera.
Non si può più accettare la rassegnazione diffusa, davanti ai prezzi triplicati di mangime, concime e carburanti. Oggi ancora si riesce a pagare, facendo mille sacrifici, ma da qui a qualche mese si rischia la chiusura. Rassegnazione creata anche da forme di assistenzialismo, che in questi ultimi anni, non hanno certo incentivato il lavoro, bensì generato una situazione di calma apparente, che in realtà sta portando ad un declino definitivo.
È nostra intenzione riprendere le proteste, perché vogliamo che finalmente, venga riconosciuta l’essenzialità di questo mestiere. Chi di dovere, deve arrivare a capire che senza il settore primario, la Sardegna non sopravvive.
Certo, il turismo rappresenta un aspetto importante nell’economia sarda, ma non dimentichiamo che, chi viene nella nostra isola, sempre più spesso, cerca il buon cibo, il contatto con la natura, la vita sana e soprattutto vuole immergersi nelle nostre tradizioni millenarie.
La Sardegna è pastorizia, questo è il messaggio che deve passare, con grande orgoglio.
Purtroppo, troppo spesso, il pastore viene visto come un lavoratore che non è al passo con i tempi, magari poco acculturato o che vive in un passato remoto. Negli anni c’è stata una evoluzione, le cose sono ben diverse, perché abbiamo a disposizione mezzi moderni e siamo in contatto con il mondo, ma non condizionati da questo.
Teniamo alla nostra identità e alle nostre tradizioni e vogliamo mantenerle intatte. Tanti pastori di una certa età non sono scolarizzati, ma hanno una loro profonda cultura, un’etica del lavoro, e un’intelligenza vivace, che ha fatto crescere e prosperare questo mestiere, nonostante i grandi sacrifici che hanno dovuto affrontare.
Come vedi l’evoluzione del lavoro nel mondo agropastorale?
Si parla spesso di spopolamento, ma pochi si chiedono quali siano le vere cause di questo fenomeno, soprattutto nelle zone rurali della Sardegna. Qui, il settore primario è stato quello trainante, che ha portato crescita e benessere alle popolazioni locali, ma negli anni, a causa di politiche scellerate, sta andando verso l’abbandono.
Nel mio paese nascono 7, 8 bambini all’anno, di questo passo tra 10 anni ci saranno solo anziani. Non c’è un ricambio generazionale che, in futuro, potrà garantire la forza lavoro.
Io ho 44 anni, e a Orune, sono uno degli allevatori più giovani. Questo è un mestiere sacrificante, che richiede tempo ed energie, ma se venisse riconosciuto e valorizzato come merita, sarebbe comunque duro, ma decisamente più appetibile per chi volesse trovare una strada nella vita.
Ecco, noi vorremmo normalità, crescere e far studiare i nostri figli, pagare le bollette, mantenere la casa. Insomma, non abbiamo pretese assurde o la velleità di arricchirci, vorremmo solo che le nostre fatiche venissero giustamente ripagate.
I pastori quando hanno delle risorse le spendono, si rapportano con altre categorie di lavoratori artigiani, migliorano le condizioni dei propri animali, investono in terreni, mezzi agricoli, insomma, fanno girare l’economia locale.
Per questo motivo stiamo lottando affinché venga approvata una legge sul “pastoralismo” per riconoscere la figura fondamentale del pastore per la Sardegna.
Davanti a questa situazione, viene da pensare che ci voglia una grande dose di coraggio per intraprendere il vostro mestiere.
Il nostro è un lavoro che segue una passione, oggi non riusciamo a programmare l’attività, e purtroppo nonostante i sacrifici e l’impegno speso, ci troviamo davanti a mille incognite prima di iniziare la nuova annata. Chi dice di tutelarci, si dovrebbe chiedere come, nonostante tutto, ci siano ancora persone motivate che vogliano intraprendere l’attività del pastore.
Quali sono invece, gli aspetti positivi che caratterizzano il pastoralismo?
Come dicevo, io mi trovo a Orune, un comune immerso in una realtà economica agropastorale, e per me, la pastorizia è una religione.
Mi spiego meglio, per fare il pastore non basta svolgere le normali attività quotidiane, portare le pecore al pascolo, nutrirle, mungerle. Serve seguirle e conoscerle in tutti i loro aspetti, anche quelli sanitari. Occorre essere imprenditori, che siano in grado di gestire una vera e propria azienda.
Ogni giorno è una sfida, e spesso i problemi che si presentano non possono essere facilmente controllati. Ecco perché serve dedizione e soprattutto mente ferma, che ci permetta di affrontare il prevedibile, ma soprattutto le situazioni inaspettate.
Ci salva la solidarietà tra noi, ma vorremmo ricevere appoggio e comprensione anche dai nostri conterranei e dalle altre categorie di lavoratori.
Fa male vedere, che nei media e nei Social il nostro messaggio resta inascoltato o ancor peggio travisato.
Tra voi, almeno localmente, c’è supporto reciproco?
Si, anche se non è semplice mettere d’accordo tante teste pensanti, quando c’è da agire, ci muoviamo collegialmente, perché motivati dalla necessità di risolvere i problemi comuni.
Durante le proteste del 2019 legate al prezzo del latte, Orune è stato uno dei paesi più attivi. Dall’8 Febbraio, fino al 4 Marzo, abbiamo evitato di conferire, rinunciando ai guadagni, pur di far sentire la nostra voce.
In Sardegna il mondo agropastorale viene visto ancora come una realtà distante, di difficile comprensione e forse persino inadeguata, e anacronistica. Tu sei giovane, cosa pensi di questa immagine che si è diffusa fuori dai confini regionali?
La nostra è una vita incentrata sull’impegno lavorativo, sulla natura e sulla tradizione. Ma ci gratifica chi, trovandosi qui di passaggio, si ferma, cerca di andare oltre le apparenze, e, conoscendola riesce ad apprezzarla. Di recente, parlando con dei turisti che sono entrati nel Bar del paese, ho appreso che invidiano i nostri valori, il territorio incontaminato e il cibo sano, prodotto localmente.
Mi dicevano che nelle loro grandi città, è difficile condurre una vita a misura d’uomo, c’è troppa frenesia e si fa fatica a comunicare.
Voi non siete solo dei semplici lavoratori, ma vi occupate anche dell’ambiente che vi circonda.
Ritengo che al pastore si debba riconoscere il ruolo di protettore del “Benessere Ambientale”. Tra noi e la natura c’è un giusto scambio, lei ci offre i suoi doni e noi ricambiamo occupandocene e tutelandola.
Basti pensare che nelle zone in cui è diffusa la pastorizia, i campi sono in ordine, gli alberi crescono rigogliosi e si rispetta il lavoro degli altri. Ma non solo, proteggiamo la cultura storica della nostra terra. Pensiamo ai muretti a secco, che nel 2018 sono stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità. Gli allevatori, quando portano le pecore al pascolo, si occupano di ripristinarli se vedono che hanno subito dei danni.
Sono tanti gli equilibri che si fondano sulla nostra presenza. E questo è ampiamente dimostrato da quanto sta accadendo nei territori dove si è rinunciato al pascolo, che stanno subendo un degrado incontrollato a causa di incuria e incendi.
In alcune zone d’Italia, in particolare in Trentino-Alto Adige, il pastore viene visto come una ricchezza sociale che tramanda tradizioni millenarie, e in questo modo le fa sopravvivere e le diffonde. Li, ancora si pratica attivamente l’alpeggio, mentre da noi in Sardegna, purtroppo questa consuetudine è sempre meno diffusa.
A Orune e nei paesi montani, i terreni di pascolo sono piccoli e lontani tra loro. Questo ci porta a spostarci a piedi nel raggio di qualche decina di km, in transumanza. Un’esperienza faticosa ma bellissima, che garantirebbe, a chi volesse condividerla con noi, una profonda immersione nella nostra quotidianità.
Come si svolge la transumanza?
La mattina, dopo la mungitura, si parte molto presto con il gregge e si arriva a dover camminare fino a sera per raggiungere il nuovo pascolo. Dopo qualche settimana, si ripete la stessa operazione verso una nuova destinazione.
I nostri capi rappresentano un grande valore, non come capitale monetario, perché ormai, purtroppo, sono ampiamente svalutati, ma come risorsa lavorativa. Io conosco il mio gregge, mi occupo delle mie pecore garantendo loro una vita tranquilla, e credimi, se per qualsiasi motivo, una di loro viene a mancare, non mi do pace.
Sono animali dalla grande intelligenza e socievolezza. Si adattano facilmente alla permanenza nei boschi, e il fatto che necessitino di un allevamento estensivo, li rende sani e produttivi. Con generosità ci donano un elemento essenziale per la nostra vita, il latte, che trasformato, diventa una risorsa indispensabile per l’economia isolana.
La preoccupazione attuale, è che, con i paesi che si stanno spopolando, entro pochi anni, non essendoci un ricambio lavorativo, si rischia di fermare la produzione di latte e di conseguenza di derivati. Purtroppo, quest’anno, in Sardegna, hanno chiuso tante aziende e sono state macellate una quantità doppia di pecore rispetto al 2019. Migliaia e migliaia di capi.
Cosa consiglieresti ad un ragazzo che volesse intraprendere il tuo mestiere?
Oggi la disoccupazione è diffusa, e nonostante questo, spesso, sono le famiglie a scoraggiare i giovani a seguire questa strada. Io ho studiato, ho preso un diploma, ma sin da piccolo, mio padre mi ha insegnato questo mestiere.
Le generazioni più giovani, vanno a scuola. Ma tendono ad escludere a priori la possibilità di lavorare nelle campagne, ritenuto ancora come un impegno troppo gravoso.
Se ci fossero anche i giusti stimoli economici, forse, le cose verrebbero considerate in modo diverso. Io sono convinto che in futuro, le aziende agricole, rappresenteranno una salvezza, ma è necessario pensarci adesso, sensibilizzando i ragazzi ad indirizzarsi verso questa vita.
Quindi ben venga il lavoro del pastore
Assolutamente sì. Voglio però ribadire una volta per tutte che, chi come me lavora in questo settore, non chiede aiuti gratuiti alla politica né alle associazioni di categoria.
Chiede solo che venga riconosciuta la propria dignità lavorativa. Che venga garantito un adeguato prezzo del latte e soprattutto una tutela dell’ambiente e delle risorse naturali che ci circondano.