Stagionalità e chilometro “vero” nelle preparazioni di Cosimo Chiodi, adiuvato dalla moglie – e pastry chef – Maria Antonietta Grieco, e dalla sorella Antonia, nella gestione della sala e wine-pairing.

Dal padre – imprenditore edile – ha mutuato coraggio ed intraprendenza, in fondo trattandosi pur sempre, con un pizzico di ironia, di impasti di diversi tenore, dalla madre Anna il gusto per le preparazioni gastronomiche e le ricette tradizionali.

I trascorsi di Cosimo Chiodi rifulgono nello svolgimento della sua attività, una moderna pizzeria nel centro di Pietramelara, borgo medioevale di circa cinquemila abitanti nell’alto casertano, non distante della Valle Telesina. Il periodo di tempo trascorso negli States, ad accumulare esperienze nel settore eno-gastronomico, gli hanno insegnato l’arte del pragmatismo e della riconversione strutturale, avendo allestito il proprio locale all’interno di un vecchio cinema d’essai di paese, ora finemente riattato.

Indubbiamente, gli apporti della moglie Maria Antonietta Grieco, in cucina, e della sorella Antonia – laureata alla Sapienza ed esperta in comunicazione d’impresa – in sala hanno reso meno arduo a Cosimo Chiodi il compito di raccontare la sua terra attraverso le sue ricette, contestualmente all’onere della gestione del locale.

Si rifugge dalla dizione gourmet, optando per la qualificazione di “essenzialità” della tecnica di lievitazione, con un impasto maturato sino a 52 ore, caratterizzato da straordinaria scioglievolezza, e con un bordo di media altezza, pur senza potendosi parlare di “canotto”. I paradigmi operativi sono l’ingegnerizzazione della linea produttiva, con possibilità di menù degustazione progressivi ritagliati sulle esigenze del singolo cliente  – doveroso evidenziare la bellezza della camera delle lievitazioni hi-tech a vista ubicata all’ingresso – e la varietà delle materie prime, strettamente connessa alle metodologie di conservazione delle medesime, per preservarne le caratteristiche qualitative intrinseche.

A seguire, il percorso degustativo, un gioco sinestetico di rimandi, fra tradizioni familiari e giustapposizioni gustative, come dire convivialità familiare e topping ispirati ai grandi primi piatti della gastronomia regionale: si inizia comunque dagli appetizer, le fragranti montanarine e fritture.

Le prime, con pomodoro S. Marzano, mozzarella di bufala, scaglie di Parmigiano Reggiano ed olio evo, mentre le seconde composte da frittatine con pasta e patate – secondo la ricetta familiare di Nonna Letizia – e gli straordinari crocchè con il “cappello”, ovverosia un binomio con guarnizione superiore di mousse di piselli, carne salsicciara di Pietramelara e cialda di pecorino uno, e con vellutata di zucca, scarola riccia e slice di pomodoro secco, l’altro.

Proseguendo con le pizze, davvero una notevole selezione e scelta, senza dimenticare quella in teglia ad alta idratazione e con lenta maturazione, dal cuore e dal boccone fragrante, in degustazione la “purpetiè”, con olive caiazzane denocciolate, polipetti freschi, pomodoro S. Marzano e peperoncino, un’alveolatura che lascia davvero sbalorditi, a riprova della leggerezza e qualità delle farine – non raffinate e macinate a pietra – e dei lieviti utilizzati.

Si continua con l’incisività della “boscaiola della massaia”, crema di latte di bufala, porcino beneventano, fiordilatte, funghi trifolati, pancetta affumicata cristallizzata, e mousse di piselli. A seguire, è la volta della “la…sagna” – quantomai attuale in tale periodo – con pomodoro S. Marzano, stracciata di Bufala, polpettine di macinato scelto, parmigiano reggiano e olio e.v.o., al culmine di una splendida teoria di prodotti e creazioni.

Si conclude con il commiato dei dessert, realizzati dalla pastry chef Maria Antonietta Grieco, al bicchiere o nel tradizionale “buccacciello”, assaggiamo il “tirami-bù”, tiramisù con la Guappa dell’antica Distilleria Petrone, liquore di latte di bufala con brandy invecchiato, l’ennesimo imprimatur territoriale, con un pizzico di creativo campanilismo.

Bella, seppure non ampia, la carta delle birre, dei vini e distillati, una sorta di focus ed omaggio alle principali denominazioni della zona, ovviamente dominata dallo storico Falerno del Massico. Assaggiamo, in progressione, la Janua Blonde Ale del birrificio artigianale Erbanina di Gioia Sannitica, la Falanghina spumatizzata Extra Dry di Vitis Aurunca, e due prodotti dell’azienda Agricola Bianchino Concetta. Falerno del Massico Bianco D.O.C. 2018 e Falerno del Massico Primitivo D.O.C. della medesima annata, complessità olfattiva e spessore gustativo, concludendo con il Pallagrello Nero I.G.P. Terre del Volturno 2019 dell’azienda “Il Verro”, in regime biologico.

Sui dessert, infine, degustiamo altre due referenze della distilleria Petrone, l’Elixir di Falernum, e l’Amarè, l’originale ed unico amaro alle erbe del Giardino Inglese della Reggia di Caserta, a riprova del fascino di un territorio unico al mondo, sulla scorta della notazione, come ama ripetere Antonia, che “ogni storia e racconto, seppur non completa, deve essere autentica, per avere la capacità di evocare e suggerire”.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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