All’Enopanetteria di Stefano di Pagliuca abbiamo incontrato il vigneron Adolfo Scuotto, per la presentazione delle nuove annate dei rossi aziendali, in abbinamento con i piatti della tradizione di casa.
Della Tenuta Scuotto abbiamo parlato in altre sedi, elogiando lo spirito pioneristico che ha mosso il titolare Eduardo, in combine con suo figlio Adolfo, ad insediarsi nella terra irpina, con un riconosciuto progetto viti-vinicolo, riferimento costante per chi ricerca vini di qualità e di grande fascino.
Questo percorso progressivo, lastricato di grandi successi e numerose premiazioni da parte delle guide di settore, ha tuttavia palesato una sorta di vocazione “bianchista” dell’azienda, con prodotti a volte eterodossi – impossibile non citare l’identitario Fiano Oi Ni – che hanno saputo rifuggire dall’omologazione, contestualmente valorizzando il terroir di riferimento.
A contravvenire tale paradigma inveterato, è sopravvenuta la cena – alla quale abbiamo avuto il privilegio di partecipare – titolata “The Red Side of Tenuta Scuotto”, tenutasi presso l’Enopanetteria del nostro amico di lunga data Stefano Pagliuca, appassionato anfitrione: presenti pochi selezionati ospiti, tra cui il medesimo titolare Adolfo Scuotto, Tommaso Luongo – delegato AIS di Napoli – nonché Elio Ondino, rappresentante della Società di selezione “Vino e Design”, a cui il nostro è legato da vincoli di distribuzione commerciale.
Dopo l’efficace prolusione del giovane imprenditore, è emersa chiaramente l’idea sostrato della serata, e cioè una considerazione lapalissiana nella sua semplicità: le guide di settore, forse con espressa esclusione di quella della medesima A.I.S., finiscono per dare poco risalto – per non dire estromettere – i rossi dal novero dei vini premiati a livello regionale, concentrandosi pertanto un’azienda come Tenuta Scuotto a riposizionare tali prodotti della gamma aziendale, mediante un’attenta opera di divulgazione e diffusione.
Sotto l’egida del medesimo standard e filosofia produttiva informatrice, ovverosia bassa resa per ettaro, vendemmia selettiva eseguita a mano, e affinamento diversificato, abbiamo pertanto assaggiato i prodotti offerti in degustazione, in abbinamento con le straordinarie pizze artigianali di Stefano Pagliuca – imperdibile la parigina e quella con patate e provola – e l’imponente genovese della tradizione.
Largo pertanto al nuovo arrivato “Campania Aglianico I.G.P. REDO 2019”, seguito dal “Taurasi D.O.C.G. 2015”, terminando, in maniera sorprendente, con il Campania Aglianico I.G.P. Stilla Maris 2012”, asserviti da scheda e note tecniche del produttore, competente ed affabile, attento a porre l’accento sulla godibilità e bevibilità di ogni singolo vino in rassegna, nella prospettiva del consumatore finale, senza tralasciare le implicazioni commerciali e di marketing sottese.
Interessante anzitutto il REDO, da uve autoctone di Aglianico con macerazione di circa dodici giorni, sei mesi di affinamento in bottiglia, per un prodotto che si connota di un tannino morbido e levigato, seppure presente ed incisivo, ed una significativa duttilità di beva, come è dato riscontrare in un equipollente Campi Taurasini di altri produttori, volendo esemplificare, dalla produzione continuativa annuale e dall’eccellente rapporto qualità prezzo.
Di ben altra struttura e complessità il successivo Taurasi D.O.C.G. 2015, un vino connotato da ricchi sentori fruttati di more, amarene, prugne e spezie dolci, al palato una linea di continuità con una trama tannica fitta, calda, dalla persistenza spiccata, il pairing con la genovese è azzeccato e gustoso, l’imprinting produttivo è evidente.
È la volta dell’ultimo prodotto, il “Campania Aglianico Stilla Maris I.G.P. 2012”, prodotto solamente in alcuna annate vocate, una vendemmia leggermente tardiva per una quantità limitata di circa milleduecento bottiglie, note vegetali di sottobosco ed una grande eleganza gustativa, fantastica la chiusura al palato che lascia una bocca sapida e perfettamente omogenea.
Per concludere, una strada si augura in discesa quella di Tenuta Scuotto, capace come poche di coniugare qualità produttiva – la mano dell’enologo Angelo Valentino è evidente – e dinamismo produttivo e manageriale, come è comprovato dalle innovazioni tecnologiche di cui si fa latore, perché, in sin dei conti, il “vino è un piacere, e non deve accettare compromessi sulla qualità”.