Il 15 aprile del 1967 a 69 anni, moriva a Roma il Principe Antonio De Curtis, noto al mondo come Totò.

Nacque a Napoli nel Rione Sanità, da una relazione clandestina fra Anna Clemente ed il marchese Giuseppe de Curtis, che lo riconoscerà solo nel 1937.

Il suo quartiere, uno dei più caratteristici della città, che inizialmente ospitava importanti famiglie nobiliari e facoltosi borghesi, diventò col passare del tempo uno dei più popolosi della città. Totò rimase sempre legato a questi posti, dove visse a lungo e che diedero un’impronta inconfondibile alla sua carriera.

Infatti, già a quindici anni iniziò ad esibirsi nei teatrini di periferia con altri giovani attori del calibro dei De Filippo. Ma la sua carriera, partita con grandi sacrifici, venne coronata solo quando si trasferì a Roma, dove nel 1937 poté girare il suo primo di ben 97 film. Eppure, rimase in lui un’amarezza che lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni.

Dichiarava a Oriana Fallaci, durante una illuminante intervista rilasciata alla scrittrice nel 1963, che lo definiva un divo e un artista:

“Macché artista: venditore di chiacchiere. Un falegname vale più di noi artisti, almeno fabbrica un tavolino che rimane nei secoli. Ma noi, dica, che facciamo? Quanto duriamo? Al massimo, se abbiamo molto successo, una generazione.”

Smentito dai fatti, vista la sua grande fama che non vede il tramonto.

Restò invece sempre legato al buon cibo. Il suo amore per la cucina nacque in famiglia grazie alla mamma e alla nonna che lo resero un ottimo cuoco. Mentre la sua ossessione, che caratterizzò tanti personaggi dei suoi film, arrivava dal rapporto sofferto con la fame che lo accompagnò durante i duri anni di gavetta prima di raggiungere la notorietà.

Sicuramente amava mangiare e sperimentare attraverso la creazione di ricette semplici ma non banali. Ogni piatto infatti, era curato non solo nella sua esecuzione e presentazione ma ancor di più, nella scelta delle materie prime.

Ogni cibo, secondo Totò, aveva una sua importanza e doveva essere valorizzato. Se si decideva di mangiare anche solo una fetta di pane con olio, gli ingredienti dovevano essere di prima qualità e consumati ad una tavola bene apparecchiata “perché l’occhio e lo stomaco hanno eguali diritti.”

Non era attratto dalla cucina gourmet, decisamente molto meglio quella napoletana. Opulenta, ricca e senza freni come ben raccontato nel film Miseria e Nobiltà. Memorabile la sorta di balletto che i protagonisti fanno quando, dopo giorni di digiuno, viene loro servito un banchetto con una zuppiera piena di spaghetti al pomodoro. Tanta la fame e la felicità che finiscono con l’afferrarli e mangiarli con le mani.

Il suo sapere in cucina, veniva annotato dall’attore, in un quadernetto nero, oggi conservato religiosamente dalla figlia Liliana. Racconta le ricette della tradizione, che all’attore piacevano di più.

Nel 2001, ispirato a questi ricordi, nasce un libro che lo vede cuoco. “Assolutamente non chef, mi raccomando!”. Le ricette di casa de Curtis raccontate ai posteri nel volume edito da Rizzoli “Fegato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà”.

La prefazione di Liliana De Curtis, riportata di seguito, racconta molto bene il contenuto di queste pagine.

“Fegato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà”, l’inizio di una delle filastrocche inventate da mio padre, per la precisione nel film “Totò contro Maciste“, rispecchia in pieno lo spirito di un libro di gastronomia in cui propongo le sue ricette preferite, filtrate nel suo umorismo surreale e dalla sua creatività.

Totò amava mangiare e aveva il culto della buona tavola, anche in ricordo di dei duri anni della gavetta in cui aveva patito la fame. Non c’è da stupirsi, quindi, che avesse elaborato diverse ricette per la gioia del suo palato, di quello dei familiari e dei pochi amici fidati.

Per esempio, Aldo Fabrizi col quale realizzò lo scambio tra la cucina romana quella napoletana, pur rimproverandogli di far scuocere gli spaghetti che vanno gustati rigorosamente al dente.

I sapori e gli odori del cibo inteso come momento di relax e aggregazione, quasi una inconsapevole seduta psicoanalitica nel senso che, per usare una espressione, “a tavola si capisce chi sei e con chi hai a che fare“, costituivano un elemento indispensabile della vita di Totò. Tanto che, nel 1945, durante una tournèe in Spagna, in cui lo seguii con la mamma, si struggeva letteralmente di nostalgia.

“Gli spagnoli mi sono simpatici, ma purtroppo mangiano solo cipolla. Io se non mi faccio al più presto un piatto di spaghetti, muoio, esalo …”, sbottò dopo una settimana a Barcellona.

E fu così che, per placare quella che papà definiva “la fame dell’esule”, lasciammo l’albergo per trasferirci in una casa d’affitto dove, finalmente, riuscimmo ad assicurarci le irrinunciabili spaghettate.

L’amore per il buon cibo in realtà è sempre stato un patrimonio di famiglia, tanto che in passato, facendo onore al nome che porto, ho gestito due ristoranti a Johannesburg e a Montecarlo, occupandomi personalmente della cucina.

E non ci sarei riuscita se non avessi potuto contattare quel famoso quaderno nero, un ricettario unico e prezioso, tramandato dalla nonna paterna, Nannina, dalle varie zie, cugine e bisnipoti (i loro nomi ricorrono nella mia memoria e nelle ricette) a papà e quindi ereditato da me, oggi depositaria del tesoro.

Lo considero tale, prima di tutto perché mi ha insegnato a cucinare, una dote importante e utile, e poi perché esso rappresenta un riflesso del modo di vivere di papà.

Molte volte, mentre preparo uno dei tanti piatti di sua invenzione, mi sembra di rivederlo a tavola, in quella specie di rito che era “l’assaggio”. La forchetta veniva portata lentamente alla bocca e il primo boccone era assaporato in silenzio.

Se la ricetta era stata realizzata in modo corretto Totò sorrideva e annuiva dolcemente dicendomi: “Brava Liliana, sei all’altezza di nonna Nannina”.

Un elogio venato di rimpianto per la madre scomparsa, che mi riempiva di orgoglio. Nella sensazione di avergli regalato un momento di piacere per il palato e anche di tenerezza, nel fargli rivivere i suoi pasti da ragazzi.

Quando era la nonna a cimentarsi ai fornelli, sempre preoccupata per il figlio artista (lei lo avrebbe voluto prete) fosse troppo magro. Fin da allora la cucina era considerata il cuore della casa, il luogo magico in cui, a cominciare dalle prime ore del mattino, varie pentole “pippavano” sul fuoco, in attesa del pranzo o della cena.

Momenti fondamentali perché, comunque lo stomaco esige una “supponta”, cioè un sostegno, non solo al fisico, ma anche allo spirito.

Si dice che l’appetito viene mangiando, ma secondo me viene di più a stare digiuni” sosteneva papà, mentre con puntigliosa diligenza annotava ricette sempre nuove.

In un clima di totale abbandono, paragonabile, sia pure in maniera diversa, a quello della recitazione. Che facilitava l’allegria, in assoluto il miglior condimento per ogni cibo.

Con queste premesse è facile capire perché io abbia deciso di raccogliere in un libro le ricette di Totò, spiegate con semplicità e realizzabili anche da chi non è troppo esperto di cucina. Con la raccomandazione di lasciare sempre spazio alle vostre particolari preferenze e alla fantasia, in modo che la preparazione dei cibi sia un vero e proprio diletto.

Peccato che mio padre non sia con noi per inventare tante battute nuove. Ma per fortuna il suo talento comico, come una cornucopia inesauribile, ce ne lascia un’eredità ricchissima tratta dai suoi film. In un magico caleidoscopio che tocca tutti gli argomenti, compresa naturalmente la gastronomia.

Insomma, la cucina in Casa De Curtis è uno spettacolo fatto di odori e sapori, un gioco tra i fornelli in un trionfo di quisquiglie e pinzellacchere, con qualche inevitabile bazzecola: in salmì, in umico, o in salsa verde. Fate voi. Buon appetito e buon divertimento.”

Per omaggiare questo grande uomo ho deciso di preparare una delle sue ricette preferite, contenuta anch’essa nel libro.

Gli Spaghetti alla Gennaro” nati in onore del Santo e della festa patronale della città di Napoli. Molto simili per ingredienti e procedimento a quelli che vengono chiamati “Spaghetti alla Carrettiera”.

Ingredienti

200 g di spaghetti

4 acciughe salate

2 fette di pane raffermo

origano

basilico

aglio

olio

sale q.b.

Procedimento

Strofinare le fette di pane con l’aglio e sbriciolarle in un piatto. In un tegame ben unto d’olio, far soffriggere due spicchi di aglio. Aggiungere le briciole, e lasciarle tostare fino alla doratura.Tritare le acciughe a coltello e farle sciogliere lentamente in padella con una generosa spolverata di origano. In una pentola alta far cuocere gli spaghetti in abbondante acqua bollente.

Saltare la pasta in padella con le acciughe e l’origano e il pane sbriciolato.

Servire gli spaghetti ben caldi con un po’ di basilico per decorare il piatto.

Sara Sanna

Ho 49 anni e abito in Sardegna. Ho lavorato come tecnico del restauro archeologico prima, poi, come guida turistica e operatrice museale presso la "Fondazione Barumini Sistema Cultura" che si occupa della...

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