Di corsi innovativi, nel mondo del vino, ne esistono molti, la maggior parte tuttavia finiscono per avere una consistenza eterea, legati a trend passeggeri e tautologici: Vineria Bandita, il wine bar d’autore partenopeo di Giuliano Granata e Federica Palumbo, conferma appieno, a tale proposito, la qualità dell’offerta commerciale proposta, anche all’esito di un periodo così drammatico, come quello della recente emergenza sanitaria nazionale da pandemia “covid”, discostandosi da tali orientamenti fugaci.
Raggiungiamo Giuliano e Federica, compagni nella vita oltre che nel lavoro, in una calda serata infra-settimanale, nell’elegante quartiere residenziale del Vomero, l’interminabile periodo di chiusura forzata lock-down sembra avere lasciato nell’aria delle propaggini di costringimento depressivo, del resto una riluttanza all’interazione sociale viene continuamente instillata nella popolazione, a torto o ragione, dall’opinione pubblica, con ricadute negative pressoché generalizzate nello svolgimento di attività commerciali.
Appena varcata la soglia del locale, tuttavia, vuoi per l’aria di alacre “interplay” fra i titolari, vuoi per la rinnovata disposizione, con l’allestimento dei tavolini esterni, seguiti dall’avvicendarsi di una clientela quanto mai variegata – molto dipendente dalle fasce orarie, preciseranno i titolari – l’impressione precedente è sostituita da una successiva molto più pervasiva, di calda accoglienza ed ospitalità: Giuliano si rende disponibile a condividere con noi parte del suo tempo per una conversazione informale, affaccendato in attività di sistemazione del bancone, una ragionata selezione di vini a mescita ne arricchisce il corpo centrale, tutti rigorosamente abbattuti in cestelli con ghiaccio, attese le temperature elevate esterne, superiori alla media stagionale.
Non mi lamento, Carlo, sto bene e Vineria Bandita è tornata, abbiamo riaperto al pubblico con Federica propositivi e carichi, l’idea fondante sottesa è sempre la medesima, fornire alla clientela una gamma di vini “artigianali”, valorizzando l’operato di piccoli produttori, non necessariamente legati a delle sigle di appartenenza, da cui il nome, che denota la nostra voglia di essere dei “maverick”, degli enotecari fuori dal gregge. Da questo punto di vista, debbo dire che anche durante il lockdown siamo riusciti ad adeguarci, ho approntato, anche avvalendomi di social come instagram, un delivery “autarchico”, arrivando a consegnare personalmente sino alla provincia di Caserta, c’è tanta curiosità intorno al mondo dei vini “naturali ed artigianali”, anche se devo ripetere che siamo contrari a logiche di consumo settarie e corporative.
Indubbiamente il tuo è un format per così dire di flessibilità elevata, che ha facilitato la sopravvivenza in un periodo così duro come quello attuale, speriamo conclusosi definitivamente. A proposito, per quanto riguarda l’offerta gastronomica, che differenze sostanziali ci sono nella nuova riapertura post-covid?
Continuiamo ad offrire prodotti di grande qualità, rappresentanti delle eccellenze territoriali non necessariamente italiani, si parte dal capocollo di Martina Franca, passando per la Stracciata di Corato, lardo di Arnad, prosciutto Patanegra ed acciughe del Cantabrico. Cerchiamo di favorire una rotazione settimanale o al massimo quindicinale delle preparazioni, ultimamente sta andando molto la formula aperitivo-brunch, ad esempio abbiamo delle patate artigianali in busta “Nana”, prodotte in Senigallia, provincia di Ancona, le serviamo con della maionese artigianale prodotta da noi, un altro piatto forte è preparato con il tonno, misticanza e salmorejo, con temperature elevate la gente privilegia il pesce rispetto ai formaggi, ma comunque la snellezza nelle preparazioni, molte delle quali “fredde”, rimane il nostro imperativo.
Carlo, ho amato quel luogo, lo gestivo con uguale fervore, e davvero sono stati anni indimenticabili, in cui ho coltivato ed elaborato la mia passione per il vino, avevamo là una carta davvero corposa, tanti vini francesi, una minore attenzione a questa tipologia di prodotti sui quali abbiamo imperniato il nostro focus attuale. Indubbiamente incidevano tantissimo i costi fissi di gestione, e probabilmente una piccola mancanza di continuità da parte della nostra clientela con un format più elaborato – giusto appunto le nostre riflessioni attuali – ci ha costretti a chiudere due anni orsono, oltre ad un ri-assetto proprietario.
Davvero impressionante il tuo lavoro di ricerca sui vini, da questo punto di vista credo che Federica sia indispensabile, ha davvero una tensione inesauribile, ed anche una metodologia e pazienza che dispensa nell’attività di ricevimento della clientela.
Dovrei fare rispondere lei, a questa tua domanda assertiva, io francamente la ritengo indispensabile sotto il profilo organizzativo, e devo dire che il nostro rapporto personale non rappresenta assolutamente un’interferenza, tutt’altro. Federica ha una grande memoria, abbiamo visitato personalmente molte della aziende di cui rivendiamo i prodotti, e devo dire che possiede una vasta aneddotica sul mondo del vino, unita ovviamente ad una facondia e grande competenza tecnico-professionale.
Carlo, anzitutto ti rispondo con uno stentoreo “crepi il lupo” attraverso il cibo, e principalmente il vino, cerchiamo di raccontare la straordinaria diversità culturale del nostro territorio, non disdegnando altre nazioni, in primis ovviamente la Francia. Ad esempio, vendiamo molti Champagne bio-dinamici, ed anche Cremant francesi e bollicine da “metodo ancestrale”, i clienti li apprezzano molto, il rapporto qualità prezzo è un elemento dirimente, personalmente privilegiamo i vini con macerazioni prolungate, non chiarificati né filtrati, come i cosiddetti “orange” che vediamo inclusi nelle carte dei grandi ristoranti, anche quando fuoriescono dal disciplinare per metodi produttivi “eterodossi” ben venga, del resto siamo “Vineria Bandita”, nomen omen……